mercoledì 29 aprile 2020

Step #12: Chi raccontava nel Medioevo?

Come si è visto nel precedente post, l'invenzione della stampa apporta una notevole innovazione nel mondo del raccontare, in quanto si riesce a raccontare raggiungendo sempre più persone. 
Ma i veri protagonisti del raccontare in questo periodo storico sono i Menestrelli, ovvero gli artisti di corte incaricati all'intrattenimento del castello per signori e cortigiani. Erano musicisti, cantastorie, poeti e giullari, e spesso capitava che non avessero dimora, che bensì risiedessero ospiti nella corte in cui andavano a svolgere le proprie mansioni, accolti e ospitati dai signori. Spesso, inoltre, capitava che venissero ingaggiati per singoli spettacoli in occorrenze particolari, e in questo contesto eseguiva brani già scritti da un Trovatore, che era sostanzialmente il compositore (ed esecutore) della poesia lirica occitana. Inoltre, i Menestrelli appagavano i comuni cittadini acclamando le bellezze della città.
Raffigurazione anonima di un anonimo menestrello

L'invenzione della stampa

Come si è detto in un post precedente, non è strano che la tecnologia e il raccontare compaiano insieme, prima di tutto perché si può raccontare la tecnologia.
C'è da dire, infatti, che proprio nel periodo medioevale avviene un'importante passo avanti per il modo di raccontare, ovvero: l'invenzione della stampa
La stampa a caratteri mobili in una xilografia del 1568
L'invenzione della stampa a caratteri mobili viene attribuita a Johannes Gutenberg che, tra il 1448 e il 1454 ha stampato a Magonza il primo libro, la Bibbia a 42 linee. Il libro è stato poi venduto a Francoforte sul Meno nel 1455. Secondo la tecnica utilizzata da Gutenberg, i tipi, ovvero dei piccoli prismi metallici sui quali compariva in rilievo a rovescio un carattere, venivano assemblati in linee, che erano a loro volta unite creando pagine di testo. Ogni matrice di una pagina era ricoperta d'inchiostro e stampata con un torchio pressore. La nuova tecnica si è diffusa molto rapidamente in tutta Europa, e ciò a permesso la diffusione di massa dei libri e delle cartografie, che fino a questo momento erano sempre stati opera di copisti che, a mano, riportavano i vari racconti: i volumi erano molto costosi e, perciò, non adatti alle masse, che era per lo più analfabeta.
Una pagina della Bibbia di Johannes Gutenberg (1453-1455)
Eppure, non è corretto attribuire l'invenzione della stampa a caratteri mobili a Gutenberg, in quanto è sì possibile attribuirgli tale invenzione come diffusione dei libri stampati, ma non in quanto vero inventore del metodo: Johannes Gutenberg ne è solamente il miglioratoreInfatti, tra il 1041 e il 1048 in Cina la prima stampa a caratteri mobili fu inventata da Bi Sheng. Il sistema ideato da Bi Sheng consiste in fragili caratteri incisi nella porcellana o nella ceramica di argilla viscosa induriti nel fuoco e assemblati in resina ma, per l'appunto, si trattava di un sistema che non si prestava per la stampa di grande diffusione.
Una pagina del Mengxi Bitan che descrive il sistema inventato da Bi Sheng

giovedì 23 aprile 2020

Step #11: Raccontare la pandemia

Sono quasi tre mesi che l'Italia ha fatto chiudere tutto in modo che i rapporti sociali, ciò di cui la società odierna si basa maggiormente, siano limitati al minimo indispensabile. Prima dell'Italia era toccato alla Cina, e dopo l'Italia è toccato alla Spagna, agli Stati Uniti, all'Inghilterra, alla Francia, alla Germania, ... e un po' tutti i Paesi del Mondo sono nella medesima situazione di lockdown. Ogni giorno, ne sentiamo di tutti i colori per mezzo della televisione e ne leggiamo altrettante tramite quotidiani online e tradizionali e, soprattutto, tramite i social network, tanto che non si è più veramente sicuri di quello che si viene a sapere: siamo così tanto bombardati da informazioni che non si riesce più a distinguere la verità dal falso, in un periodo in cui le informazioni circolano in modo esponenziale molto velocemente. Lo stesso Papa Francesco a messo in evidenza questo fatto:
Stranamente, non abbiamo mai avuto più informazioni di adesso, ma continuiamo a non sapere cosa succede.
Quindi, cos'è il COVID-19, la pandemia che ha fatto catapultare il mondo in un film distopico? Così simile, per esempio al film The Contagion (2011), narrante la diffusione del virus, soffermandosi sul modo di arginarlo e combatterlo, a partire con la ricerca del "paziente zero", o alla serie tv Containment (2016), narrante, invece, soffermandosi maggiormente sulla quarantena? In maniera differente, ce lo spiegano gli scienziati della Columbia University tramite il cast dello stesso film di Steven Soderbergh, in cui il virus Mev-1 ha avuto origine a Hong Kong proprio dai pipistrelli, in fuga dopo la distruzione delle palme, e poi passato nei maiali. Ciò è riportato in un articolo de La Repubblica.
Ma, proprio visto che siamo bombardati da notizie riguardo il COVID-19, tanto da aver tappezzato ogni singolo canale e programma televisivo, ma anche ogni sito e social network, vi propongo oggi una storia scritta da una studentessa fuorisede del Politecnico di Torino alla pagina Instagram ufficiale d'Ateneo (che l'ha postata nelle proprie storie Instagram).
Passo le giornate in casa a contare le ambulanze che corrono. Una, due, ... sono le sette del mattino, adesso faccio colazione e poi mi metto a studiare. Tre, quattro, ... mi affaccio alla finestra: la gente fa jogging sul marciapiede come se tra due mesi dovesse per forza correre la maratona di New York. Lascio perdere altrimenti mi innervosisco. Inizia la virtual classroom e faccio il mio dovere: seguo, prendo appunti, un po' borbotto, lo ammetto, ma eccole ancora... cinque, sei, sette, tre di fila, chissà cosa sta succedendo a chi ci sta dentro. Svuoto la testa dai brutti pensieri, ma mi fa male, ho un po' di brividi ma ho la faccia accaldata. Apro la finestra e prendo un po' d'aria fresca, ma ecco l'altra che mi sfreccia davanti agli occhi, siamo a otto. Cucino qualcosa alla rinfusa, ho tante passate di pomodoro da consumare ma non ho voglia di farmi la pasta al sugo che mi sa tanto di casa, mi accontento di un'insalata con una scatoletta di tonno. Accendo la televisione e non si parla d'altro, ci implorano di stare a casa ma a qualcuno viene ancora voglia di farsi quella passeggiata di troppo. Mi bombardano il cervello con quei numeri, quei grafici, quando finirà? Non si sa. Mentre mangio ne passano ancora... nove, dieci. Mi si stringe lo stomaco. Mi lavo i denti e torno a studiare, che è meglio. Non ho neanche quella voglia matta di vedere serie tv che pensavo mi sarebbe venuta. Quasi mi annoia il pensiero. Mi siedo davanti alla scrivania, ma prima di iniziare chiamo la mamma. È in pensiero, ha due figli su tre distanti e soffre perché ci vorrebbe tutti e tre sotto le sue ali, come mamma chioccia. Le dico che va tutto bene, che sono uscita solo una volta in dieci giorni per fare la spesa, armata di mascherina, ma che quasi sicuramente a Pasqua continueremo a stare separati. Cerco di tranquillizzarla, ma forse sto anche più in ansia di lei. Le do un bacio virtuale, e mentre chiudo la chiamata le sento ancora... undici, dodici, tredici. Mi viene da piangere ma penso che non ho motivi di farlo, e allora mi fermo. Respiro e ricomincio. Virtual classroom, lezione, ma sta volta la numero quattordici la sento dalla casa del professore che fa lezione e che ci sta parlando. Continuo, non crollare. Finisce, mi distraggo un po' allenandomi. La musica nelle orecchie per mezz'ora mi impedisce di sentirne almeno altre due. Chissà che starà succedendo, penso metre faccio gli addominali, e io sono qui, chiusa impotente. Vorrei poter strappare via questo male da ogni persona in ospedale. Vorrei abbracciare chiunque sta dando il massimo in queste corsie Ne passano altre: diciassette, diciotto, diciannove... ma adesso è il momento di andare sul bancone a mettere un po' di musica. C'è un bimbo nella palazzina di fronte che ogni giorno ci aspetta per mettere un po' di Rino Gaetano. Ballo e canto con le mie coinquiline. E mentre ascoltiamo "ma il cielo è sempre più blu" passa la numero venti. Sta volta però guardo quel bimbo, guardo quelli della famiglia sulla destra che cantano come pazzi, e per una volta tanto mi viene da piangere solo per l'emozione. Rientro e guardo i video di quelle coppie che ballano sui balconi, dei trombettisti che fanno suonare tutta Milano, e sorrido. Non siamo soli. .Non è solo neanche chi è in quelle ambulanze. Siamo un'unica grande famiglia che sta lottando per poter tornare alla libertà. Mi manca uscire di casa. A volte mi sento una mano introno al collo che mi stringe, perché voglio camminare, voglio vedere la mia famiglia, i miei amici, sentire il profumo del mare e il rumore delle onde. Ma non è adesso il momento. Ho perso il conto delle ambulanze che sono passate, ma non perdo la voglia di vivere, anche se starò non so quanti mesi tra queste quattro mura: studio, chiamo i miei amici, rido, disegno e aspetto fiduciosa. "Passerà questa pioggia sottile, come passa il dolore", diceva Faber. E voglio credergli. Con tutto il mio amore per chi sta lottando tra la vita e la morte, e tutta la mia gratitudine a chi sta lavorando per mantenere l'Italia in piedi. Noi, da casa, continuiamo a dare il massimo.

sabato 18 aprile 2020

Book sharing! Loki. Il giovane dio dell'inganno

I libri raccontano, e come in uno dei precedenti post vi ho consigliato una serie di libri trattanti la mitologia, in maniera romanzesca o in maniera storica, mi sembra giusto aprire una rubrica di recensioni e consiglio di libri.



Scheda informativa
  • Titolo originale: Loki. Where Mishief Lies
  • Autore: Mackenzi Lee 
  • Copertina: Stephanie Hans e Kurt Hartman
  • Traduzione: Francesca Giulia La Rosa
  • Editore: Bruno Mondadori
  • Prima pubblicazione: Febbraio 2020
  • Pagine: 396
  • Prezzo: € 20,00
Trama

Non è ancora giunto il momento di misurarsi con gli Avengers: per ora il giovane Loki è impegnato al massimo delle sue forze per dimostrarsi eroico, mentre tutti intorno a lui lo ritengono inadeguato. Tutti tranne Amora, l'apprendista maga, che sente Loki come uno spirito affine e riesce a vedere la sua parte migliore. È l'unica che apprezzi la magia e la conoscenza. 
Un giorno però Loki e Amora causano la distruzione di uno degli oggetti magici più potenti conservati ad Asgard e lei viene esiliata su un pianeta dove i suoi poteri svaniscono. Privato dell'unica persona che abbia visto la sua magia come un dono piuttosto che una minaccia, Loki scivola sempre di più nell'ombra di suo fratello Thor.
Ma quando tracce di magia vengono ritrovate sulla Terra e messe in relazione con alcuni omicidi, Odino manderà proprio Loki a scoprire cos'è successo. Mentre si infiltra nella Londra del diciannovesimo secolo, la città di Jack lo Squartatore, Loki intraprenderà una ricerca che va oltre la caccia a un assassino. E finirà per scoprire la fonte del proprio potere e quale sarà il suo destino.

Recensione

Mi sono lanciata nella lettura di questo libro, narrante del Loki dell'Universo Marvel prima del suo scontro con gli Avengers a New York, in quanto appassionata del mondo del fumetto Marvel. Sapevo che i sarei ritrovata dinnanzi le avventure di un giovane Loki, un personaggio che mi è sempre piaciuto guardando i film della Marvel o leggendone i fumetti, ma non mi sarei aspettata di ritrovarmi ad amare ancora di più questo personaggio.
Sono soddisfatta di come tale romanzo su tale personaggio è stato trattato, e in particolare ho amato il rapporto tra Loki e suo fratello Thor e la caratterizzazione dei nuovi personaggi, tra i quali spicca il giovane Theo Bell, rifiutato ma comunque forte senza essere fragile, per descriverlo con le stesse parole del protagonista del libro. 
Eppure devo smuovere un paio di critiche. La prima verso la traduzione, in quanto in molti punti ho trovato delle incongruenze nelle frasi, per quanto riguarda le azioni: non è comprensibile se ciò è dovuto a un errore di traduzione oppure se è stato scritto proprio così, ma in qualunque caso mi occorrerebbe la lettura del testo in lingua originale per comprenderlo, anche se dubito che tali errori sia riscontrabili nel libro in inglese. La seconda critica riguarda, invece, il finale: ben conoscendo il personaggio di Loki sia mitologicamente sia nel mondo Marvel, ho compreso la scelta dell'autrice di dipingere Odino come colui che non si può mai fidare del suo secondogenito Loki, ma proprio perché sono a conoscenza di come è stato trattato il Loki marvelliano mi sarebbe piaciuto che, invece, alla fine di questo libro il giovane dio dell'inganno avesse avuto la sua "piccola gioia".
Nel complesso, comunque, il libro è ben strutturato e molto scorrevole e una delle cose che mi è piaciuta maggiormente è che anche se non sai niente dell'Universo Marvel lo puoi leggere benissimo e comprendere dall'inizio alla fine.

Valutazione

★★★★☆ 4.7/5

venerdì 17 aprile 2020

Step #10: Raccontare al cinema

I film e le serie TV sono un mezzo per raccontare storie tramite immagini in movimento, ma se si esplorano a fondo i film è inoltre possibile sviscerare l'azione del raccontare
Per esempio, nel film The Notebook (tradotto in italiano come Le pagine della nostra vita, un film del 2004 uscito, in Italia, nel 2005) presenta diverse scene in cui si vede il protagonista  Noah Jr. raccontare la sua storia con Allie proprio a una sofferente Allie Hamilton.
In una delle prime scene del film, tratto dall'omonimo romanzo di Nicholas Sparks si nota subito come l'intero lungometraggio è la lettura del diario di Allie Hamilton che, colpita dall'Alzheimer, dà a Noah il compito di ricordarle giorno per giorno della loro gioventù insieme.



giovedì 16 aprile 2020

Story time! Tra quattro mura


Siamo qui su un blog dal tema raccontare, se ogni tanto non vi racconto una storia questo blog non avrebbe molto senso di esistere... Dopo la storia intitolata L'Astronauta, vi riporto qui in quest'ultimo (per ora) post un'altra storia di mia ispirazione a partire da uno scrittore e poeta che abbiamo già incontrato in un precedente post.

Se io avessi una botteguccia
fatta di una sola stanza
vorrei mettermi a vendere
sai cosa?
La speranza.
“Speranza a buon mercato!”
Per un soldo ne darei
a un solo cliente
quanto basta per sei.
E alla povera gente
che non ha da campare
darei tutta la mia speranza
senza fargliela pagare.
– Gianni Rodari

TRA QUATTRO MURA

«Facciamo un gioco,» mi disse mio fratello «nascondiamoci dentro l’armadio.»
Avevamo tirato fuori tutti i nostri vestiti e li avevamo adagiati sui letti, avevamo tirato fuori tutte le nostre scarpe e queste erano ora sparse per tutto il pavimento, così come gli zaini e i borsoni, i cappelli e le sciarpe e i giochi che da piccoli amavamo tanto ma che con il crescendo ci eravamo scordati.
La mamma si sarebbe arrabbiata tornando a casa e osservando tutto quel casino nella nostra stanza, lo sapevo, ma mio fratello mi aveva guardato e con un’alzata di spalle era entrato nell’armadio. Io avevo guardato la nostra cameretta, e poi lo avevo seguito come facevo sempre. Mi era sempre piaciuto passare il tempo con mio fratello, e lui aveva sempre il modo giusto per farmi sentire felice e per farmi divertire. Nostra mamma lavorava molto, per lunghe e molte ore al giorno, per portare il cibo in tavola e per farci avere tutto quello che potevamo desiderare, anche se non chiedevamo mai molto perché eravamo consapevoli che non ci meritavamo quello che lei faceva per noi. Mi dispiacque seguire mio fratello lasciando quel disordine nella nostra cameretta, ma ero troppo curioso di venire a scoprire quale gioco si sarebbe inventato questa volta per preoccuparmene più di tanto.
«Dai, entra» mi spronò mio fratello, prendendomi quindi per un polso e tirandomi dentro lui stesso, per poi chiudere la porta dell’armadio alle mie spalle.
Mi ci vollero alcuni secondi per abituare gli occhi al buio totale all’interno dell’armadio, ma poi iniziai a vedere delle luci. Erano piccole e di un giallino pallido, una delle tonalità del mio colore preferito, e sembrava volessero dirmi di seguirle.
“Vieni, vieni da questa parte,” sembravano sussurrarmi.
Cercai di chiedere spiegazioni a mio fratello, ma non riuscii a individuarlo nonostante ne sentissi la sua presenza accanto a me. Sapevo che eravamo premuti l’uno contro l’altro nell’armadio, ma mi parve di essere da solo. Girai su me stesso per quanto mi era possibile in quello spazio ristretto, e dopo aver compiuto un giro di trecentosessanta gradi, ritrovandomi nuovamente di fronte alla scia di lucine di un giallino pallido, iniziai a camminare.
Non compresi, all’inizio, come mi era possibile proseguire così a lungo in quello spazio largo a malapena mezzo metro, ma percorsi una strada a tratti impervia e a tratti piacevole. Era notte, e non vedevo quasi nulla al di fuori delle lucine che erano diventate la mia guida. Mi orientavo principalmente grazie a loro, al rumore dei miei passi sul selciato e al rumoreggiare del mare alla base della scogliera. Ogni passo mi poteva essere fatale, poiché non vi era un criterio logico per cui il sentiero fosse ora semplice ora difficile, poiché sentivo sotto i miei piedi il terreno irregolare, roccioso e sdrucciolevole, e giacché la brezza marina era, in quei tratti più malagevoli, un forte vento gelido.
Eppure, non riuscivo a fermarmi, a tornare indietro. La mia curiosità del venire a scoprire cosa avrei trovato alla fine del percorso fatte di lucine di un giallino pallido era notoriamente più vigorosa del mio senso di lucidità e sicurezza. Un paio di volte, infatti, avevo rischiato di precipitare nello strapiombo, fortunatamente in entrambi i pericoli corsi mi ero riuscito a rimettere sul percorso dopo essermi, la prima volta, aggrappato a una radice e, la seconda volta, essere stato soccorso da una creatura gentile che però non saprei neanche come descrivere.
Sembrava che fossi quasi arrivato sulla sommità di una collina, un solo grande pino a osservare una stellata pazzesca sopra e il mare dinnanzi e le lucine come lucciole tutt’attorno a egli, quando sentii la voce di mio fratello.
«L’hai vista?» mi domandò, tirandomi fuori dall’armadio e iniziando a rimettere tutto il suo contenuto ordinatamente al suo interno. «La Speranza.»
Non compresi, scossi la testa.
«La Speranza?» domandai aggrottando la fronte, chinandomi a raccogliere un paio di scarpe per riporle nuovamente nella scarpiera all’interno dell’armadio.
«La Speranza» confermò lui. «È lì, sempre, anche dove meno te l’aspetti, anche quando pensi che tutto quanto sia perduto. Lei c’è sempre, e s’illumina di più quando le difficoltà che affronti sembrano essere insormontabili.»
Annuii. Non fui sicuro di capire allora, perché l’unica cosa che vidi alla fine di quel gioco fu l’Albero delle Lucciole in una meravigliosa notte stellata. Ma, ora, capisco perfettamente cosa intendesse mio fratello.

mercoledì 15 aprile 2020

Leonardo racconta

In una delle pagine scritte da Leonardo Da Vinci è possibile notare che, per quanto le sue opere e invenzioni si possano raccontare a lungo, scrivendo pagine e pagine di libri, anche lo stesso Leonardo raccontava e utilizzava questo termine.


Dai manoscritti di Leonardo Da Vinci

Nella colonna di sinistra di uno dei suoi manoscritti, riportato qui sopra, si può infatti leggere:
O Greci, io non penso ch'e i miei fatti vi sieno da raccontare, però voi che li avete veduti. Dica Ulisse gli suoi ch'egli fa senza testimoni de' quali è solo consapevole la oscura notte.

Step #09: Raccontare nell'arte figurativa

Nello scorso post abbiamo visto come l'arte figurativa racconta qualcosa, prendendo come esempio la Nascita di Venere di Sandro Botticelli.
Ma numerose sono le opere d'arte figurativa che raffigurano persone nell'atto di raccontare. Ne sono un esempio in tal senso le prime opere di Alessandro Abate, La cantatrice ambulante del 1890 e I cantastorie del 1894, entrambi facenti parte di collezioni private (navigando su Internet, si è infatti trovato solo il riferimento visuale della prima delle due opere).

La cantatrice, 1890, Alessandro Abate

giovedì 9 aprile 2020

Raccontare tramite le arti figurative

Nel medesimo post nel quale vi ho raccontato una storia ho, inoltre, fatto riferimento alla versatilità del verbo raccontare, in quanto tale vocabolo indica un'azione che è possibile effettuare per mezzo di differenti "tecniche". 
Si può raccontare con la voce oppure mettendo le medesime, o differenti, parole per iscritto. Ma, come abbiamo anche visto in una delle scorse pubblicazioni di questo blog, raccontare attraverso un video (abbiamo fatto riferimento, nello specifico, al caso pubblicitario). Abbiamo approfondito il tema del narrare sia in poesia sia in prosa e, infine, abbiamo visto come tale azione è possibile riscontrarla persino nel mondo della tecnologia.
Con il presente, si vuole quindi analizzare meglio ciò che è stato pubblicato in un altro dei precedenti post, quello in cui è stato postato un disegno ideato e creato dalla sottoscritta: l'azione del raccontare nelle arti figurative.

Nascita di Venere, 1483-1485, Sandro Botticelli
Prendiamo, per esempio, la qui sopra riportata famosa Nascita di Venere di Sandro Botticelli, oggi esposta presso la Galleria degli Uffizi a Firenze: l'opera racconta chiaramente ciò che già Omero narra nell'Inno ad Afrodite sotto forma di arte figurativa.

Inno ad Afrodite, di Omero:
La veneranda, la bella dall’aureo serto, Afrodite
io canterò, che tutte le cime di Cipro marina

protegge, ove la furia di Zefiro ch’umido spira

la trasportò, sui flutti del mare ch’eterno risuona,

sopra la morbida spuma. L’accolser con animo lieto

l’Ore dai veli d’oro, le cinsero vesti immortali:

la fronte sua divina velaron d’un aureo serto,

bello, d’egregia fattura: nei lobi forati, alle orecchie

un fior, nell’oricalco foggiato, e nell’oro fulgente:

d’intorno al sen, che argento sembrava, ed al morbido collo,

monili tutti d’oro poi cinsero, quali esse stesse

l’Ore dai veli d’oro si cingono, allor che a le danze

muovono dilettose dei Numi, e alla casa del padre.

Or, poi che l’ebbero tutte le membra adornate, ai Celesti

l’addussero; e i Celesti ben lieti l’accolsero, e ognuno

la man le porse, ognuno chiedeva legittima sposa

condurla in casa propria: tal fu lo stupore di tutti,

vedendo Citerèa, che cinto ha di mammole il crine.

Salve, o più dolce del miele, dagli occhi brillanti: concedi

che in questo agone io m’abbia vittoria; ed onora il mio canto.

Io mi ricorderò d’esaltarti in un’altra canzone.

Step #08: Raccontare nella tecnologia antica

Può sembrare strano che si parli di raccontare in un manuale di storia della tecnologia, eppure non lo è affatto. Lo stesso Dante, scrittore della Commedia, narra al suo interno la civiltà dal punto di vista tecnologico.
Così come la visione del mondo duecentesca non dimentica la dimensione materiale della cultura che, per molti aspetti, ha saputo rinnovarsi nelle arti e nei mestieri, la Commedia è attenta al sistema tecnologico e produttivo del periodo storico a cui si riferisce. 

Vittorio Marchis, Storia delle macchine, 2016, Laterza

Tratto dal Canto XXI dell'Inferno della Commedia, di Dante Alighieri:
Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani,
ché navicar non ponno - in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più vïaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa -:

domenica 5 aprile 2020

Step #07: Raccontare nelle opere poetiche

È stato osservato, nello scorso post, che un testo letterario può essere di narrativa, poetico oppure teatrale, e mi sono soffermata ad analizzare il testo letterario di narrativa. 
Ma, appunto, il testo letterario può essere, inoltre, un'opera poetica e, quindi, l'azione del raccontare non viene più trasmessa per mezzo di un testo in prosa, bensì grazie a un testo in rima, che in poesia è l'identità consonantica e vocalica nella terminazione di due o più parole a partire dall'accento tonico.

Raccontami una storia, di Gianni Rodari:
Le storie dove stanno?
Ce n’è una in ogni cosa:
nel legno, nel tavolino,
nel bicchiere, nella rosa.
La storia sta lì dentro
Da tanto tempo e non parla:
è una bella addormentata
e bisogna svegliarla.
Ma se un principe o un poeta,
a baciarla non verrà
un bimbo la sua storia
invano aspetterà.

giovedì 2 aprile 2020

Step #06: Raccontare nei testi letterari

Un testo è un intreccio di parole strutturato in maniera tale da comunicare un messaggio. Solitamente si fa pensiero a una sopa de letras scritta, ma si riferisce anche, da definizione, alla trasmissione orale. Un qualsiasi tessuto deve essere comprensibile, completo e coerente, e può essere "letterario" o "non letterario", a seconda che sia pragmatico o d'uso comune.
Oggi ci soffermeremo, in particolare, sulla prima categoria di testi: i testi letterari, che come abbiamo visto negli scorsi post possono essere:
  • di narrativa: miti, leggende, fiabe, favole, novelle, racconti e romanzi;
  • poetici: epici, lirici e didascalico-allegorici;
  • teatrali: tragedie, commedie, farse, drammi e melodrammi.
Quindi, un qualsiasi testo letterario racconta qualcosa, ma come viene vista specificamente l'azione del raccontare nei testi letterari? Bé, la risposta è molto semplice: dipende dal testo letterario preso in considerazione, in quanto lo stile del raccontare varia a seconda del testo letterario stesso.

Tratto da Fairy Oak: i Quattro Misteri - Capitan Grisam e l'Amore, di Elisabetta Gnone:
Sapevo quanto importante fossero le storie per le fate e per questo, durante i miei giorni a Fairy Oak, avevo scritto spesso a casa, aggiornando le mie compagne sugli ultimi eventi e le novità. E poiché avevo sempre molto da raccontare, avevo scritto con regolarità. Ripensandoci in quel momento, con tutti quegli occhi posati su di me, fui presa dallo sgomento: avevo già raccontato tutto, cos'altro potevo aggiungere?