giovedì 23 aprile 2020

Step #11: Raccontare la pandemia

Sono quasi tre mesi che l'Italia ha fatto chiudere tutto in modo che i rapporti sociali, ciò di cui la società odierna si basa maggiormente, siano limitati al minimo indispensabile. Prima dell'Italia era toccato alla Cina, e dopo l'Italia è toccato alla Spagna, agli Stati Uniti, all'Inghilterra, alla Francia, alla Germania, ... e un po' tutti i Paesi del Mondo sono nella medesima situazione di lockdown. Ogni giorno, ne sentiamo di tutti i colori per mezzo della televisione e ne leggiamo altrettante tramite quotidiani online e tradizionali e, soprattutto, tramite i social network, tanto che non si è più veramente sicuri di quello che si viene a sapere: siamo così tanto bombardati da informazioni che non si riesce più a distinguere la verità dal falso, in un periodo in cui le informazioni circolano in modo esponenziale molto velocemente. Lo stesso Papa Francesco a messo in evidenza questo fatto:
Stranamente, non abbiamo mai avuto più informazioni di adesso, ma continuiamo a non sapere cosa succede.
Quindi, cos'è il COVID-19, la pandemia che ha fatto catapultare il mondo in un film distopico? Così simile, per esempio al film The Contagion (2011), narrante la diffusione del virus, soffermandosi sul modo di arginarlo e combatterlo, a partire con la ricerca del "paziente zero", o alla serie tv Containment (2016), narrante, invece, soffermandosi maggiormente sulla quarantena? In maniera differente, ce lo spiegano gli scienziati della Columbia University tramite il cast dello stesso film di Steven Soderbergh, in cui il virus Mev-1 ha avuto origine a Hong Kong proprio dai pipistrelli, in fuga dopo la distruzione delle palme, e poi passato nei maiali. Ciò è riportato in un articolo de La Repubblica.
Ma, proprio visto che siamo bombardati da notizie riguardo il COVID-19, tanto da aver tappezzato ogni singolo canale e programma televisivo, ma anche ogni sito e social network, vi propongo oggi una storia scritta da una studentessa fuorisede del Politecnico di Torino alla pagina Instagram ufficiale d'Ateneo (che l'ha postata nelle proprie storie Instagram).
Passo le giornate in casa a contare le ambulanze che corrono. Una, due, ... sono le sette del mattino, adesso faccio colazione e poi mi metto a studiare. Tre, quattro, ... mi affaccio alla finestra: la gente fa jogging sul marciapiede come se tra due mesi dovesse per forza correre la maratona di New York. Lascio perdere altrimenti mi innervosisco. Inizia la virtual classroom e faccio il mio dovere: seguo, prendo appunti, un po' borbotto, lo ammetto, ma eccole ancora... cinque, sei, sette, tre di fila, chissà cosa sta succedendo a chi ci sta dentro. Svuoto la testa dai brutti pensieri, ma mi fa male, ho un po' di brividi ma ho la faccia accaldata. Apro la finestra e prendo un po' d'aria fresca, ma ecco l'altra che mi sfreccia davanti agli occhi, siamo a otto. Cucino qualcosa alla rinfusa, ho tante passate di pomodoro da consumare ma non ho voglia di farmi la pasta al sugo che mi sa tanto di casa, mi accontento di un'insalata con una scatoletta di tonno. Accendo la televisione e non si parla d'altro, ci implorano di stare a casa ma a qualcuno viene ancora voglia di farsi quella passeggiata di troppo. Mi bombardano il cervello con quei numeri, quei grafici, quando finirà? Non si sa. Mentre mangio ne passano ancora... nove, dieci. Mi si stringe lo stomaco. Mi lavo i denti e torno a studiare, che è meglio. Non ho neanche quella voglia matta di vedere serie tv che pensavo mi sarebbe venuta. Quasi mi annoia il pensiero. Mi siedo davanti alla scrivania, ma prima di iniziare chiamo la mamma. È in pensiero, ha due figli su tre distanti e soffre perché ci vorrebbe tutti e tre sotto le sue ali, come mamma chioccia. Le dico che va tutto bene, che sono uscita solo una volta in dieci giorni per fare la spesa, armata di mascherina, ma che quasi sicuramente a Pasqua continueremo a stare separati. Cerco di tranquillizzarla, ma forse sto anche più in ansia di lei. Le do un bacio virtuale, e mentre chiudo la chiamata le sento ancora... undici, dodici, tredici. Mi viene da piangere ma penso che non ho motivi di farlo, e allora mi fermo. Respiro e ricomincio. Virtual classroom, lezione, ma sta volta la numero quattordici la sento dalla casa del professore che fa lezione e che ci sta parlando. Continuo, non crollare. Finisce, mi distraggo un po' allenandomi. La musica nelle orecchie per mezz'ora mi impedisce di sentirne almeno altre due. Chissà che starà succedendo, penso metre faccio gli addominali, e io sono qui, chiusa impotente. Vorrei poter strappare via questo male da ogni persona in ospedale. Vorrei abbracciare chiunque sta dando il massimo in queste corsie Ne passano altre: diciassette, diciotto, diciannove... ma adesso è il momento di andare sul bancone a mettere un po' di musica. C'è un bimbo nella palazzina di fronte che ogni giorno ci aspetta per mettere un po' di Rino Gaetano. Ballo e canto con le mie coinquiline. E mentre ascoltiamo "ma il cielo è sempre più blu" passa la numero venti. Sta volta però guardo quel bimbo, guardo quelli della famiglia sulla destra che cantano come pazzi, e per una volta tanto mi viene da piangere solo per l'emozione. Rientro e guardo i video di quelle coppie che ballano sui balconi, dei trombettisti che fanno suonare tutta Milano, e sorrido. Non siamo soli. .Non è solo neanche chi è in quelle ambulanze. Siamo un'unica grande famiglia che sta lottando per poter tornare alla libertà. Mi manca uscire di casa. A volte mi sento una mano introno al collo che mi stringe, perché voglio camminare, voglio vedere la mia famiglia, i miei amici, sentire il profumo del mare e il rumore delle onde. Ma non è adesso il momento. Ho perso il conto delle ambulanze che sono passate, ma non perdo la voglia di vivere, anche se starò non so quanti mesi tra queste quattro mura: studio, chiamo i miei amici, rido, disegno e aspetto fiduciosa. "Passerà questa pioggia sottile, come passa il dolore", diceva Faber. E voglio credergli. Con tutto il mio amore per chi sta lottando tra la vita e la morte, e tutta la mia gratitudine a chi sta lavorando per mantenere l'Italia in piedi. Noi, da casa, continuiamo a dare il massimo.

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